Sculture che osservano

di Monica Bonollo

Ale Guzzetti ama riferirsi al “pensiero della complessità” e sicuramente la sua ricerca ha sempre indagato gli spazi di intersezione fra pratiche, esperienze e saperi che tradizionalmente vengono tenuti rigorosamente separati. Nelle sue opere svanisce ogni presunta inconciliabilità fra la serietà e la sacralità dell’opera d’arte che incute soggezione e pretende distacco, la spensieratezza e l’abbandono del gioco, che coinvolge e invita a prendere parte direttamente all’evento, i materiali nobili tradizionalmente consacrati all’arte e i materiali tipici della produzione industriale e del consumo di massa, la manualità e l’unicità del fare artistico e l’automazione e la ripetibilità della tecnologia.

Dopo essersi occupato di installazioni audiovisive, scenografie e musiche per il teatro, nel 1983 inizia a lavorare alle “Sculture sonore”. Dà così il via ad una proficua ricerca sui rapporti fra arte e tecnologia che sfocia nella sperimentazione di una particolare espressione artistica, definita una decina di anni dopo “arte interattiva”. Le sculture di Guzzetti nascono in quegli anni come aggregazioni di oggetti ed elementi che non hanno alcun rapporto logico fra loro ma che l’artista raccoglie e combina secondo le esigenze contingenti. La struttura definitiva dell’oggetto non viene mai disegnata né pensata dall’inizio, vengono individuati gli elementi da cui partire (un circuito elettronico, un oggetto in plastica, un pezzo di vetro, …) poi assemblati a seconda delle necessità funzionali (dimensioni, chiusure, incastri, …). L’opera ha quindi una sua morfogenesi particolare che può prendere direzioni abbastanza impreviste. E’ come un organismo che acquista una sua autonomia, che deriva da una sorta di “evoluzione naturale” come risultato di un alternarsi di vincoli e possibilità.

L’artista Ale Guzzetti rinuncia spontaneamente a una completa padronanza dei significati e delle forme da produrre.

Le sculture sonore si presentano come agglomerati di oggetti in plastica di uso comune (bottiglie, boe, tubi, …) che alloggiano circuiti elettronici o dispositivi luminosi in grado di emettere suoni, rumori, voci e luci, in risposta alle sollecitazioni esterne. La presenza, il contatto o la manipolazione diretta da parte dello spettatore permettono di modificare volume, timbri, altezze, cicli di ripetizione e pause tra un suono e l’altro e di condizionare gli effetti luminosi agendo attivamente sulla struttura audiovisiva dell’opera.

All’interno della ricerca sul rapporto suono-immagine e sull’interattività si collocano negli anni ’90 gli “Acquerelli elettronici”. Questi, nati inizialmente come conversione in immagine delle caratteristiche ricorsive di alcune partiture musicali di Erick Satie, sono delimitati da grandi cornici che ospitano circuiti capaci di riprodurre una stessa sequenza musicale o di emettere suoni ad accesso casuale. Gli stessi acquerelli vengono poi inseriti in installazioni più complesse, affiancati da altre sculture in grado di riceverne i suoni, registrali e mischiarli ai propri. Queste istallazioni infatti oltre a possedere suoni propri sono in grado di registrare tutti i rumori circostanti, compresi quelli del pubblico e dell’ambiente e di riemetterli. Acquerelli e sculture sommano i loro suoni tra loro e a quelli dell’ambiente, e danno vita ad un’interattività sempre più complessa e implicita, fatta di interrelazioni continue fra ciò che avviene, ciò che è avvenuto e ciò che avverrà.

Negli anni ‘90 nascono anche i “Vetri parlanti”, sculture in vetro soffiato capaci di ascoltare e rielaborare i suoni circostanti, di vedere e riprodurre l’immagine degli spettatori attraverso micro-telecamere, di emettere segnali luminosi in interazione con gli eventi ambientali.

Nasce in questo modo la serie di “Sculture che osservano”: sculture che assorbono e riproducono ciclicamente le sequenze musicali generate da altre opere oltre ai rumori e alle voci presenti nell’ambiente, creando uno spazio sonoro fatto di interferenze e interazioni ricorsive. Viene operato quindi un rovesciamento dello “sguardo”, non più o non solo uno sguardo (e un ascolto) che si dirige dallo spettatore verso le opere ma sempre più dalle opere verso lo spettatore e verso l’ambiente. L’ambiente viene inteso inizialmente come ambiente che circonda le opere: ambiente/galleria o ambiente/museo, successivamente dal 2000 in poi, con il passaggio dalle tecnologie elettroniche a quelle robotiche, le opere di Guzzetti interagiscono con l’ambiente in senso lato, con l’ambiente/mondo: uno spazio teoricamente illimitato da esplorare.

Alle soglie del nuovo millennio infatti Ale Guzzetti lavora al progetto “Techno gardens”. Si tratta di installazioni di micro-sculture robotiche capaci di rapportarsi simbioticamente con l’ambiente e contrapposte all’idea di scultura monumentale localizzata in un luogo. Sono piccoli oggetti tecnologici semoventi, alimentati da minuscoli pannelli solari, capaci di emettere flebili suoni, variati dalla presenza e dal movimento umano, in grado di accumulare energia ed illuminarsi la notte come lucciole, e capaci di piccoli e continui movimenti, come steli d’erba al vento. Da oltre quindici anni queste micro sculture vengono istallate in ambienti naturali del pianeta: dai più bei giardini del mondo come i Giardini Zen del Giappone, o i giardini galleggianti Birmani, il Bytc Park di Pechino, ai più famosi ambienti naturali come i deserti dell’Ubzekistan e dell’Africa, le isole Galapagos, i vulcani dell’Ecuador e delle Isole Azzorre, le isole artificiali degli Emirati Arabi.

Centinaia di piccole e quasi invisibili sculture sonore e interattive, mini-moduli di “old” e “low” technologie vengono dislocate nel mondo per esplorarlo ed interagire con esso. Il percorso di ricerca di Guzzetti prosegue quindi nel cercare di instaurare nuove relazioni e riflessioni fra mondi diversi: il mondo vegetale e animale “naturale” e il mondo tecnologico “artificiale”, confondendo e sfumando le reciproche delimitazioni e definizioni. Gli oggetti/sculture tecnologiche di Ale Guzzetti non sono più semplici estensioni dell’uomo ma complessi organismi dotati di comportamenti e di una loro vita autonoma.

I lavori più recenti di Ale Guzzetti si concentrano sulla tecnologia robotica e sulla realizzazione di sculture che interagiscono sempre più con l’ambiente circostante. L’azione di rovesciamento dello sguardo viene portata a compimento. Le sculture osservano e seguono lo spettore. O si osservano fra loro.

Nella serie “Affective robots” il busto robotico osserva il busto di Michelangelo e riflette su di esso, il quadro appeso alla parete segue con i propri occhi i movimenti di chi lo guarda o di chi gli passa accanto nella serie “Sensitive pictures”, mentre una strana e minimale coppia etrusca osserva ciò che gli accade attorno. Inoltre in “Robot portraits” i personaggi storici ritratti all’interno di grandi cornici sono dotati di occhi tecnologici vivi e autonomi in grado di scrutare l’ambiente.

Le sculture robotiche rivolgono il loro pensiero sull’arte del passato, anelano a scambiarsi gesti affettuosi in un desiderio ad oggi ancora frustrato, accolgono il visitatore con il loro “benvenuto nel futuro!” portandolo a trasalire. Sono sculture “senzienti” e “dotate di comportamenti”: aspirano a confondersi fra gli umani e a relazionarsi con loro in un rapporto paritario, sicuramente reciproco.

Le opere di Ale Guzzetti non solo chiedono il coinvolgimento dello spettatore inducendolo a stabilire dei collegamenti, a conoscerne il funzionamento, ad attualizzarne le possibili configurazioni audio e visive. I loro esiti imprevedibili si sviluppano all’interno di una propria autonomia dando vita ad “organismi tecnologici” in grado di animarsi, dialogare con lo spettatore, autorganizzarsi e automantenersi per esplorare il mondo attorno a loro. Le opere di Guzzetti danno vita ad un mondo ibrido che stabilisce una relazione inedita fra le diverse forme di “esseri viventi”, dissolvendo limiti e confini dei loro vincoli e delle loro possibilità.

TESTO PER CATALOGO mostra presso Valmore studio d’arte
Vicenza – 6 maggio – 24 giugno 2016